Scritto da: Bittu
Random Access Memories, tre parole,
tutte maiuscole, scritte sulla copertina di quest'album che, oltre a
richiamare l'elettronica, in primis ci suggeriscono come il duo
francese abbia guardato alle proprie spalle prima di comporre il
nuovo disco.
I Daft Punk infatti dopo 4 album
registrati in studio e 20 anni di attività nel campo musicale non si
possono certo definire dei nuovi arrivati e con quest'ultimo lavoro
si permettono di fermarsi per rivedere, magari con occhi nuovi, tutta
la strada percorsa. Come avrete capito questo è un album riflessivo,
a tratti malinconico e può facilmente spiazzare i fan della band che
li conoscevano per i loro lavori precedenti, quasi tutti facilmente
ballabili e spesso con testi non troppo impegnati (esempio perfetto è
la celeberrima Around the World).
Proprio per questo
consiglio vivamente a chi non ha mai ascoltato RAM di sdraiarsi e
assicurarsi di non avere nient'altro da fare prima di premere il
tasto play.
È
anche doveroso fare una precisazione riguardo al ritmo complessivo
dell'album. Se nel criticatissimo Human after all
tutti i brani erano estremamente legati fra di loro, cosa che avevo
apprezzato, in RAM i Daft Punk sembrano quasi procedere alla cieca in
un continuo up & down ritmico ed emozionale. Canzoni anche
diversissime tra loro si susseguono una dopo l'altra, dando un valore
concreto alla parola “Random” (casuale) presente nel titolo.
Bene, è giunto il
momento di premere il tasto play.
Il
primo brano è Give life back to music che
comincia in maniera esplosiva per poi assumere un tono più moderato
ma comunque dal ritmo ballabilissimo. Subito però ci si accorge di
una cosa: il suono è quasi totalmente analogico. Questa sarà una
costante nell'album, dove troveremo gli strumenti “convenzionali”
più presenti rispetto a sintetizzatori o drum machines.
La base strizza
l'occhio alla dance anni settanta e viene valorizzata da un'ottima
batteria che va ad aggiungere quel “quid” in più. È
obbligatorio sottolineare come le percussioni siano probabilmente lo
strumento più e meglio utilizzato dai Daft Punk nel corso del disco.
The Game of love,
posto come secondo brano, ha un ritmo più lento e una base
prevalentemente costituita dalle percussioni. La firma dei Daft Punk
la troviamo sulla voce, pesantemente alterata, che ben si adatta alla
traccia, che tuttavia rimane abbastanza anonima.
Finalmente
arriviamo alla terza canzone, Giorgio by Moroder,
nella quale i due hanno voluto omaggiare quello che per loro è stato
sicuramente un esempio: il compositore italiano Giovanni Giorgio.
Collaborando con lui gli autori sono riusciti a creare un brano che
non esito a definire sublime e che insieme a Touch e
Contact va a
costituire il picco qualitativo dell'album.
Dopo
questa chicca troviamo Within e
Instant Crush. In
entrambi i pezzi troviamo basi abbastanza statiche, ma sempre
piacevoli, e voci modificate elettronicamente, un classico dei Daft
Punk. Le due canzoni inoltre sono accomunate da buoni testi,
abbastanza profondi.
In
Within sono centrali:
il tema dello smarrimento e l'incapacità di comprendere il mondo
circostante; dal punto di vista musicale invece viene utilizzato
quasi esclusivamente il pianoforte.
Instant crush invece
è più dinamica grazie all'utilizzo della batteria e a tratti della
chitarra elettrica; senza mai farsi mancare suoni modificati
elettronicamente. Il testo inoltre è più che buono e tratta del
timore di essere dimenticati e dell'incapacità di comprendere ciò
che ci circonda. Qui però la voce cantante sembra avere un
interlocutore, in quanto afferma di aver già “ascoltato i tuoi
problemi”.
Dopo
questi due brani introspettivi troviamo il diversissimo Lose
yourself to dance. Chi conosce
il duo francese non esiterà ad associare la quasi totale mancanza di
strumenti, il ritmo da dancefloor, le voci (ancora una volta)
modificate e una batteria che potrebbe essere sostituita da una drum
machine a Discovery.
Lose yourself to dance, Get Lucky e
il penultimo pezzo, Doin'it right
sono quelli che maggiormente richiamano lo studio album del 2001. Tra
questi personalmente preferisco Doin'it right per
il ritmo più incalzante che per qualche secondo ci ricorda il
concitato Homework
distaccandosi così dagli altri brani più flemmatici.
La
canzone numero 7 è Touch,
la mia preferita di RAM, in cui i Daft Punk hanno dimostrato di saper
ben conciliare diverse tendenze presenti nella loro musica.
Di centrale
importanza nel singolo è la differenza tra suoni ben definiti e
altri più fantascientifici e ovattati. Quest'accoppiata viene
sfruttata a inizio canzone dove alla voce mascherata dei Daft Punk
viene contrapposta, quasi uscisse dall'ombra, quella cristallina di
Paul Williams. Più tardi lo stesso stratagemma viene utilizzato nel
dualismo tra suoni di strumenti orchestrali in cui spicca un'ottima
tromba e quelli elettronici ricchi di “effetti speciali” tipici
dei due francesi. La canzone è un po' la chiave di volta dell'album
in quanto in sé riassume l'insieme di analogico e digitale, di ritmi
veloci e lenti e un po' tutto il cambiamento che la band ha tentato
di applicare alla propria musica.
In
Touch inoltre
sottolineo l'ottima prestazione di Paul Williams che ha cantato in
maniera eccelsa.
Get Lucky è
stata la canzone estratta dall'album e trasmessa come singolo. È
stata la prima traccia ad essere gettata in pasto al pubblico, pezzo
dopo pezzo (il 3 marzo sono stati fatti ascoltare 15 secondi del
brano al Saturday Night Live),
ed è stata appositamente pensata per questo. Infatti il brano
richiama alla mente Discovery,
la base ammicca alla musica dance, la voce di Pharrell Williams
aggiunge qualcosa in più rispetto al passato e il ritmo è facile; è
la classica canzone che si canticchia sotto la doccia. E questo non
mi è piaciuto.
In un
album in cui i Daft Punk sfidano per l'ennesima volta sé stessi e
anche i propri fan trasformando(di nuovo) la propria musica non
trovo giusto che piazzino in questo album una canzone priva di
emozioni e pensata esclusivamente per la vendita di massa qual'è Get
Lucky.Nelle
successive Beyond e
Motherboard così come
in Within e Instant
Crush il duo francese torna a
fare introspezione, guardando però al futuro della propria musica.
In
Beyond in particolare
afferma di voler andare oltre a qualsiasi cosa pur di trovare la
perfetta canzone e il ritmo a tratti richiama Emoction o
Nightvision.
In entrambi i pezzi
troviamo una consistente presenza della batteria.
Motherboard inoltre
è un brano totalmente strumentale, rilassante, che non ricorda alcun
lavoro precedente anche se verso la fine viene inserito un effetto
sonoro (onde che s'infrangono sugli scogli) che era presente in
Fresh.
Arriviamo
quindi a Fragments of time nella
quale, per l'ennesima volta, le percussioni hanno un ruolo
fondamentale, andando a costituire la quasi totalità della base. La
base stessa tuttavia rimane abbastanza anonima, così com'era
successo in Game of Love,
pur riuscendo a sposarsi molto bene con la voce di Todd Edwards. In
chiusura della canzone infine troviamo l'inserimento della chitarra
elettrica che ricorda alla lontana Aerodynamics.
I due
artisti francesi ci lasciano con Contact,
che va a chiudere l'album. Apprezzo moltissimo questa scelta in
quanto proprio con questo pezzo i Daft Punk si liberano di tutte le
preoccupazioni accumulate nel corso dell'album e si liberano di tutti
i freni che si erano posti nelle 12 tracce precedenti. Contact
è sopra le righe, esagerata e
farcita in modo smodato di effetti speciali degni di un b-movie
fantascientifico. La canzone è un'esplosione di suono, qualcosa di
troppo anche per loro. Contact sembra
addirittura andare a sfidare l'armonia che i due hanno creato nel
resto di RAM, una reazione eccessiva e istintuale a tutto ciò che
oggi viene definito “musica”.
Concludendo:
mi è piaciuto Random Access Memories?
Ovviamente sì, ma non senza riserve. Ho adorato il modo in cui i
Daft Punk si sono saputi reinventare andando a riprendere ciò che
avevano appreso prima di Homework; mi
è piaciuto anche l'inserimento di strumenti orchestrali, l'orchestra
in quanto tale si fa sentire nell'incipit di Beyond,
che sembra l'inizio di un'opera lirica. Molto spesso gli strumenti si
sposano bene con le basi elettroniche del duo francese, ma non
sempre; a volte lo sposalizio “analogico e digitale” sembra
essere quasi forzato.
Come già detto
inoltre il susseguirsi delle canzoni spesso risulta illogico e
personalmente avrei preferito un album più unito.
Tuttavia questi
sono peccati veniali, l'album nel suo complesso risulta piacevole,
molto buono musicalmente parlando e, cosa non da poco,
riscoltabilissimo; penso di aver ascoltato l'album intero almeno 50
volte nel corso di questi mesi e non mi ha stancato.
Non è arrivato il
capolavoro che tutti si aspettavano, ma è arrivato qualcosa di
nuovo, una ventata di aria fresca nel genere “elettronica”. I
Daft Punk hanno dimostrato di voler innanzitutto suonare la propria
musica.
Nessun commento:
Posta un commento